Topografie del Sacro. Rovigo, tra ortodossia ed eterodossia
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https://doi.org/10.6092/issn.2036-1602/12849Parole chiave:
Rovigo, Architettura religiosa, Riforma cattolica, Movimenti ereticali, Comunità ebraicaAbstract
Nella suggestiva veduta incisa da Joan Blaeu (1596-1673), edita da Pierre Mortier nel 1704, la piccola città di Rovigo, posta alla frontiera tra la Serenissima e lo Stato della Chiesa, restituisce l’ordinario assetto d’una città-rurale padana nella forma urbis cristallizzata, per secoli, entro la propria cinta muraria.
Malgrado le dimensioni minuscole, Rovigo esprime una vitalità socio-culturale straordinaria, percorsa da tutti i fermenti, tensioni e contraddizioni che, dalla seconda metà del secolo XVI sino al tardo Seicento, turberanno la convivenza dei gruppi sociali: qui un potente monastero, una vivace comunità ebraica e nutriti sodalizi ereticali vivono a stretto contatto, intessendo una moltitudine di rapporti nel mutevole panorama peninsulare e continentale. Comuni radici, fedeltà al trascorso governo estense e prossimità fisica all’inquieto milieu patavino costituiscono l’humus in cui si sviluppa una singolare sintesi urbana di convivenza e commistione religiosa, vissuta nel profondo tanto dalle élites culturali notarili e aristocratiche, quanto dalla minuta borghesia commerciale e artigiana. In tale contesto privato-pubblico sorgono, accanto ai lacerti della pietas medievale, confraternite di culto e nuovi centri di controllo sociale e religioso, contrapposti ai palazzi, alle accademie e ai teatri privati, ove si discute di neoplatonismo, cabala e teologia. Una città complessa – per molti versi aliena alla cultura veneta dominante – che ispirerà l’anonima quartina: “Fra l’Adige e il Po/giace, ribaldo e tristo/Rovigo, città d’Ebrei/in odio a Cristo”.
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