Trasformare l’uso, trasformare il senso
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2036-1602/6471Parole chiave:
Trasformazione architettonica, Uso, Riuso, Simbolismo spazialeAbstract
Trasformare un edificio sacro non è un’operazione semplice. La complessità degli interventi di ri-funzionalizzazione che mirano al cambio d’uso dei luoghi di culto è generata da due ordini di questioni che sono tra di esse strettamente connesse. Da un lato, siamo in presenza di edifici , quasi sempre monumentali, che possiedono una struttura e delle caratteristiche architettoniche che li caratterizzano come edifici singolari; dall’altro lato, essi sono stati concepiti in modo tale che proprio la loro singolarità architettonica fosse espressione di una volontà simbolica forte: le imponenti altezze, l’uso peculiare della luce etc., rispondono ad una logica che va oltre il significato meramente funzionale dello spazio. Anzi, è la polisemia spaziale, che intreccia funzioni e simboli, che rende le chiese dei luoghi assolutamente unici e vibranti. Per queste ragioni, non è possibile intervenire su di uno spazio sacro come su di un qualsiasi altro luogo: il rischio è infatti quello di spogliarlo dell’aura che lo ha reso riconoscibile in quanto tale. I casi straordinari del Duomo di Siracusa o della Moschea di Cordoba, dimostrano come nella storia si sia spesso intervenuto – anche in maniera molto decisa – sugli spazi sacri esistenti. In quei casi, il progetto architettonico ha ri-semantizzato lo spazio, facendo transitare il luogo di culto da un sistema di riferimento religioso ad un altro. Lo spazio ieratico in fondo è rimasto tale. Nella modernità architettonica e nel nostro tempo attuale, impoverito di senso – e forse proprio alla ricerca di un senso – la spoliazione simbolica rischia di depauperare del tutto il patrimonio culturale, che è fatto di pietre ma anche di una dimensione spirituale e simbolica. Il progetto di trasformazione interviene in un ambito assai delicato come quello liturgico, nel quale pietre, parole e azioni si saldano in un solo corpus. È dunque possibile pensare per gli edifici di culto un cambio d’uso tout-court? Quale strumentazione progettuale bisogna usare, al fine di non stravolgere del tutto la spazialità che il tempo e la cultura di una società ci hanno tramandato? Attraverso la lettura di una serie di esempi tenteremo di comprendere quale strada si apre per il riuso degli edifici sacri.Riferimenti bibliografici
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