Città e territori di democrazia

2021-08-10

Città e territori di democrazia

a cura di Ilaria Agostini, Luigi Bartolomei e Elena Franco

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Introduzione

Esiste un nesso tra territorio e politica, tra spazio e democrazia. La democrazia (etimologicamente: il potere del popolo) è connaturata alla polis, da cui il termine politica, che esprime l’arte del governo, proviene. Se la città è di fatto il luogo fondante della politica, come lo è il territorio su cui essa esercita la propria giurisdizione, la democrazia è allora forma di governo situata, modellata dalle relazioni intercorrenti tra popolazioni insediate e strutture dell’habitat. 

 La connessione tra forme di esercizio del potere e forme della città ha tuttavia bisogno di verifiche. Un ordinamento democratico implica una città democratica? Il quesito apre la riflessione sull’effettività dell’azione democratica di fronte alle deformazioni che investono il modello dell’abitare aggregato – la città – che resta esposto a polarizzazioni, sperequazioni, disuguaglianze. In un ecosistema globale coevolutivo dove le società locali trasformano (e si trasformano con) gli ambienti in cui esse vivono, una perturbazione nelle modalità dell’abitare finisce per perturbare anche le forme di governo, e viceversa. In questo moto di divenire e con-divenire, una delle condizioni di salvaguardia della democrazia è la salvaguardia concettuale di ciò che chiamiamo città democratica, senza tuttavia poterne circoscrivere per intero senso, caratteri, limiti. È inevitabile allora chiedersi se, dove, come e quando questa città democratica si è manifestata; se essa sia espressione reale o utopica, constatazione o desiderio; se esistano parametri che ne identificano la democraticità, se un’estetica la contraddistingue. 

Quali che siano le connessioni poietiche tra spazialità e ordinamento politico, questo tuttavia dispone di strumenti per orientare lo sviluppo di quella. E tra lo spazio e il suo governo si interpone l’urbanistica, disciplina tecnica (a forte vocazione politica) che, stemperando i conflitti in merito alla “produzione dello spazio”, predispone scenari la cui realizzazione è sostenuta dal nomos, frutto di un discernimento collettivo. La pianificazione urbanistica ha finora tentato di compiere il suo mandato sociale. Laddove invece il compito non è stato assolto, il territorio è stato plasmato dal mercato.  

 Studiare l’irruzione egemonica delle forze economiche è, perciò, indispensabile per definire in quali rapporti stanno oggi urbanistica/architettura e democrazia. L’analisi dello stato di permeabilità delle istituzioni democratiche da parte delle forze mercantili (e quindi non democratiche) fornisce i mezzi per comprendere se la pianificazione sia in grado oggi di produrre aspirazioni, elaborare modelli, sostenere – simbolicamente e praticamente – la produzione di paesaggi di radicamento capaci di sollecitare corresponsabilità territoriali, di tracciare linee di sviluppo per città più eque (anche in termini ecologici), meno gerarchizzate; nelle quali le “periferie esistenziali” possano finalmente dissolversi; nelle quali i risultati di processi decisionali dal basso conformino effettivamente lo spazio comune; nelle quali presso la cittadinanza sia avvertita co-appartenenza, partecipazione e corresponsabilità; nelle quali, l’ibridazione con il digitale generi virtuosi progressi.

Il transito valoriale del nostro tempo è, in questo senso, da soppesare e prendere in considerazione. Il crollo ideologico e spirituale, il tramonto del welfare e dell’esercizio di diritti sociali emancipativi lascia spazio alla rivendicazione di diritti alla libertà personale, frutto al tempo stesso di un generale processo di individualizzazione e di una mutazione civile attenta all’inclusione delle diversità, dei più deboli, degli emarginati. In questo contesto riteniamo che sia opportuno far emergere la condizione attuale della riflessione scientifica sulla gestione dei processi decisionali urbani, inclusiva delle istanze provenienti da tutte le fasce sociali; sui modi in cui gli ambienti di vita si generano e si rigenerano aderendo a nuovi comportamenti, al rinnovato uso e ruolo dello spazio pubblico ed anche alla nuova mixité funzionale dello spazio privato.

L’urbanistica precede, accompagna o segue la decisione politica? Urge verificare se lo strumentario urbanistico – stemperato nella sua efficacia anche dalle condizioni economiche, operative e politiche in cui si muovono le pubbliche amministrazioni – sappia assorbire l’accelerazione dei cambiamenti in atto, se sappia orientarne l’evoluzione, se abbia infine coniato un linguaggio capace di rappresentare la fluidità del tempo presente. Se la disciplina sia ridotta a norma e tecnica, o abbia anche competenze di visione e pre-visione, è un interrogativo che chiama in campo la ricerca e la didattica universitarie.

Infine, il territorio: investito dai cambiamenti più rapidi, indotti da nuove modalità di lavoro, di produzione e di distribuzione globale della ricchezza, dal massiccio impatto visivo, infrastrutturale e logistico. La questione supera i confini delle città, travolge il periurbano e investe le aree rurali, ovvero quel territorio che sostiene energeticamente e biologicamente la città e che, come scriveva Carlo Cattaneo, la ha, a volte, rigenerata. Il rapporto tra democrazia e ambiente, in termini di “auto-sostenibilità”, misurata cioè sulla produzione/riproduzione delle risorse locali; e il nesso tra politica e visioni, in termini di capacità di individuare i modi della “riterritorializzazione”, rientrano tra gli interrogativi a cui chiediamo risposta.

Esempi di migliori mondi possibili esistono. La pandemia di Covid-19 ne ha messi alcuni sotto i riflettori, dalle pratiche di mutualismo alla solidarietà urbana. Azioni di “autogoverno di territorio” sono sporadicamente presenti sul territorio: dalle comunità neoagricole alle nuove forme di coabitazione, dalle cooperative solidali alla messa in comune di servizi e risorse territoriali. Una poliedrica autodeterminazione che lascia aperto un interrogativo: se, e come, questi spiragli di buena vida siano capaci di passare da pratiche di testimonianza e di rifugio alla ricomposizione del quadro di una nuova “città felice”. La questione sociale, obliterata negli anni del There Is No Alternative, è tornata all’ordine del giorno, non più disgiunta dal tema del ritorno della statualità e di quello ambientale.

in_bo 13, nº. 17 intende porre l’attenzione sul rapporto tra politica e territorio, tra democrazia e trasformazioni degli ambienti di vita. In particolare, in merito al ruolo della pianificazione urbanistica, la riflessione che intendiamo avviare verte sulla verifica delle sue attuali capacità: di produrre pratiche condivise di trasformazione dello spazio; di dare voce alle marginalità sociali; di mettere in atto sapienti gestioni delle risorse territoriali; di innovarsi e parlare una lingua contemporanea atta a comprendere le grandi transizioni in corso. in_bo cerca con questa call contributi interdisciplinari, che potranno essere presentati in forma testuale (sezione Articoli) o illustrata (sezione Visioni). 

Temi

_La città democratica: utopia e realtà

Pensiero e pratiche neoliberiste hanno messo in crisi il concetto di democrazia territoriale. A livello planetario, il modello gerarchizzato megapolitano rappresenta il nuovo stadio evolutivo delle città, con il rischio di un inurbamento a scapito di territori interni, depredati di risorse, governo e abitanti. Un modello che pare accelerare la schizofrenia territoriale, accentrare i poteri, produrre forme di governo sempre più tecnocratiche, determinare nelle aree interne il vuoto antropologico, funzionale, politico. La sparizione della città – pubblica, interclassista, aperta –, dovuta anche all’indebolimento della pianificazione territoriale, è il prodromo della privatizzazione della politica. Mercificazione dei centri storici, sottrazione all’uso collettivo degli spazi pubblici rappresentativi, allontanamento delle povertà favorito dalla retorica del decoro e del controllo. Sul territorio aperto, gli effetti non sono meno profondi: inquinamento agro-industriale, consumo di suolo al di fuori di qualsiasi fabbisogno abitativo e produttivo, desertificazione delle aree interne, congestione metropolitana.

Per porre rimedio a tali effetti, sono da lungo tempo studiati e avviati modelli e ipotesi metodologiche: dalla città dei 15 minuti alla città resiliente, dalla bioregione urbana policentrica ai parchi agricoli urbani, dalle forme pattizie territoriali all’ipertecnica delle smart cities. Studi che partono da lontano, ma che la pandemia ha esasperato, producendo inedite prospettive biomimetiche e posture simpoietiche.

In questo scenario, quale ruolo riveste l’urbanistica? Quale relazione tra scenari utopici, nuovi modelli di gestione e concrete pratiche di pianificazione? 

_Eterotopie, resistenze, pratiche politiche

Il trentennio neoliberista ha rimesso in discussione i fondamenti democratici territoriali, la rappresentanza, il potere deliberativo spesso sottoposto alla pressione economica di corporations di natura, appunto, non democratica. La mutazione genetica dell’urbanistica si è prodotta attraverso lo smantellamento delle garanzie di partecipazione nelle procedure e nei processi di piano. Si ha l’impressione di essere di fronte all’erosione di una disciplina progressiva, di misure legislative e di pratiche amministrative, capaci di lenire le disparità sociali e di frenare gli appetiti speculativi fondiari e immobiliari. La pianificazione urbanistica, abbandonato il suo mandato sociale, ha assunto un nuovo strumentario più sensibile verso l’economia di mercato, a cui ha conformato obiettivi e metodi: negoziazione, cartolarizzazione dei beni demaniali, governance territoriale di ascendenza aziendalista, estrema settorializzazione normativa ecc.

Ciò che accade nella prassi politica e amministrativa è contrastato da una ricca tradizione di studi circa le ipotesi di forme democratiche che reagiscono e si confrontano con la gerarchizzazione territoriale, il gigantismo megalopolitano, la tecnocrazia applicata alle conurbazioni globali. Dall’”autonomia di villaggio” praticata da Gandhi, alla “democrazia diretta” teorizzata da Murray Bookchin e applicata nelle forme di autogoverno del Rojava. Oggi la “democrazia dei luoghi” ha fisionomia cangiante: reti municipali, patti di collaborazione alla scala di quartiere o di rione; pulviscolari forme di auto-organizzazione, sperimentazioni situate che fanno leva sul mutualismo solidale, sulla condivisione dei beni, sulla cooperazione e l’associazionismo. Si tratta di esperienze di pianificazione dal basso, di ricomposizione sociale e di autonomia democratica; talvolta extra-istituzionali, autonome e auto-organizzate, sempre dal forte valore sorgivo. La loro istituzionalizzazione è complessa e può dimostrarsi devitalizzante.

Esperienze, casi di studio, riflessioni e analisi critica di fenomeni in atto ed efficacia di politiche urbane sono oggetto specifico di questa sezione. 

_La disciplina, il tramando, l’educazione 

La schizofrenia che si registra nel governo del territorio testimonia la profonda crisi della pianificazione territoriale. Essa è evidente tanto a livello operativo, nella inefficacia di gran parte delle pratiche democratiche di trasformazione dello spazio (a confermare ancora l’attualità dell’approccio di Sherry Arnestein) quanto a livello culturale, ove si registra spesso un lessico accattivante, ma inconsistente, inutile per rappresentare e corrispondere ai mutamenti dell’abitare e inefficace nell’esercizio del tramando delle competenze specifiche.

Green, smart, resilienza, partecipazione rischiano di essere vuote etichette attrattive, parole dalla semantica troppo ampia e dunque incapace di sostenere un’innovazione reale nelle pratiche di pianificazione. Alle nuove parole non corrisponde un nuovo fraseggio, né una nuova sintassi. Lo scollamento tra le parole e le cose, tra i fenomeni che si sperimentano nelle città e il lessico impiegato nell’apparato normativo e nel dibattito culturale (incapace di aggiornarsi il primo, troppo vago il secondo), sono un effettivo ostacolo all’esercizio di una gestione condivisa e partecipata della cosa pubblica e, segnatamente, dell’uso del territorio. Si rendono urgenti esperienze e laboratori per la ricostruzione di un lessico condiviso, e spazi e tempi innestati nei percorsi educativi ordinari per formare alla cura, alla corresponsabilità e alla partecipazione ai progetti di gestione della cosa pubblica a partire dalla sua prima manifestazione: lo spazio condiviso della città. Questa call for papers è particolarmente interessata ai percorsi che nelle scuole di ogni ordine e grado formano alla gestione comune e condivisa del territorio.

Nelle università, in particolare, ove la pianificazione urbanistica diventa materia di insegnamento, qual è l’oggetto della didattica? Le norme e le tecniche oppure la visione di territorio e di città che le norme e le tecniche permettono di costruire? Vi è la speranza che questa call possa generare un dibattito anche sulle modalità dell’insegnamento.

Info

Autrici e autori sono invitati a inviare un abstract in italiano o in inglese (3000–4000 caratteri spazi inclusi) alla mail in_bo@unibo.it entro il 15 ottobre 2021. Esso dovrà essere redatto attenendosi alle linee guida della rivista, che si possono trovare sul sito in-bo.unibo.it/about. Al contributo dovrà essere allegata, in un file .doc separato, una breve bio (max 350 caratteri spazi inclusi) e l’affiliazione.

Per partecipare con una proposta grafica per la sezione Visioni, si può inviare una grafica, un’illustrazione, un progetto fotografico (o altro, purché in 2D.) alla mail in_bo@unibo.it entro il 15 ottobre 2021, allegando un breve abstract (1000 caratteri, spazi inclusi), bio e affiliazione.

In caso di accettazione, i saggi dovranno essere caricati sulla piattaforma online di in_bo al sito in_bo.unibo.it, in lingua italiana o inglese (con abstract in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra i 20.000 e i 50.000 caratteri spazi inclusi. I saggi saranno sottoposti a una procedura di double-blind peer review.

Le proposte grafiche accettate saranno richieste in alta definizione. Saggi e grafiche dovranno essere originali e inediti.

Calendario

15 ottobre 2021 | Chiusura call for abstracts

30 ottobre 2021 | Notifica di accettazione degli abstract

30 aprile 2022 | Consegna del saggio

luglio 2022 | Conclusione del processo di revisione

novembre 2022 | Pubblicazione