https://in-bo.unibo.it/in_bo/gateway/plugin/AnnouncementFeedGatewayPlugin/atom IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura: Avvisi 2023-08-10T18:41:49+02:00 Open Journal Systems <p><strong><em>in_bo</em> (ISSN 2036-1602) </strong>è una rivista digitale e open-access, fondata nel 2008 e con sede a Bologna. Pubblica annualmente numeri tematici di ricerca su argomenti quali il progetto architettonico, la storia dell'architettura e gli studi urbani, con un'attenzione particolare per la didattica dell'architettura e le intersezioni tra architettura, cultura e società. La rivista è gestita in una collaborazione tra il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, il Centro Studi Cherubino Ghirardacci (Bologna) e la Fondazione Flaminia (Ravenna).</p> https://in-bo.unibo.it/announcement/view/592 Call for papers: Le chiese e la città | DEADLINE EXTENDED 2023-08-10T18:41:49+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><em><span style="text-decoration: underline;"><strong>#CallForAbstract</strong></span></em></p> <p><strong>Le chiese e la città</strong>| <em>in_bo </em>vol. 16, no. 8</p> <p>Promotore <strong>DA - Dipartimento di Architettura, Università di Bologna</strong></p> <p>A cura di <strong>Luigi Bartolomei</strong>, <strong>Federica Fuligni</strong>,<strong> Gianluca Buoncore</strong></p> <p><a href="https://drive.google.com/file/d/122M_vPRT2B8_F7b1MafN61-H-BNCZv7K/view">Scarica questa call for abstract</a></p> <div class="page" title="Page 8"> <div class="layoutArea"> <div class="column"> <p>&nbsp;</p> <p><strong>INTRODUZIONE </strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">Nei primi vent’anni del secolo XXI si sono costruiti o completati in Italia in media una decina di complessi parrocchiali l’anno. Si tratta di una produzione che può apparire in controtendenza con i rilievi, confermati ormai da una moltitudine di osservatori, di una contrazione della pratica religiosa in Italia. Le chiese, tuttavia, seguono le dinamiche abitative, e se tante rimangono memoria di comunità migrate, nuovi edifici di culto sorgono ove un nuovo addensarsi della popolazione si manifesta. Questa vivace attività progettuale ed edilizia ha generato dibattiti sulla forma delle chiese, sul loro linguaggio architettonico, sull’impianto liturgico. </span></p> <p>Periferica, se non del tutto assente, la riflessione sul modello spaziale dei complessi parrocchiali, sulla loro origine e concezione, sul loro pro- gramma funzionale e volumetrico, sul loro ruolo e significato nelle città in relazione alle forme e all’articolazione con cui essi si manifestano, alle tradizioni delle Chiese particolari, ai diversi paesaggi. Nel silenzio della riflessione critica, la gran parte delle nuove edificazioni tende a reiterare un modello consolidato in un’articolazione di pieni e vuoti ad alta permeabilità pubblica: una chiesa, un salone, spazi per l’incontro e la formazione, una casa canonica e un sagrato, variamente aggregati in una cittadella di liturgia e servizi, dimensionata secondo la densità abitativa dell’intorno territoriale. Con i complessi parrocchiali si è disegnata una riconoscibile infrastruttura territoriale che fu regola alla riconfigurazione insediativa della penisola, al sud come al nord, nelle città come nei centri minori. Ovunque i nuovi quartieri ne risultarono tessuti isomorfi, sorti per accostamento di cellule omologhe, con la parrocchia a configurare un nucleo, per ricreare ovunque la struttura tipica dei centri storici.</p> <p>Degli anni della ricostruzione è la maturazione del modello di complesso parrocchiale per come ancor’oggi esso viene concepito. Alla determinazione della sua immagine contribuirono senz’altro il ruolo urbanistico, la sperimentazione di nuove modalità di partecipazione liturgica, le possibilità espressive e tecniche che i nuovi materiali da costruzione (cemento armato in testa) potevano garantire al disegno di spazi ampi e accoglienti. Intrinseca a questa immagine resta una condizione culturale storicamente determinata: l’identità tra comunità religiosa e comunità civile, tra religione e cristianesimo che, in mancanza di una revisione critica del modello, ogni nuova declinazione tende a riprodurre con inevitabile condizionamento dei comportamenti e delle relazioni.</p> <p><span style="font-weight: 400;">Queste corrispondenze sono invece entrambe risolte. Sottoporre il ruolo e – quindi – il modello dei complessi parrocchiali a una verifica appare dunque urgente se non tardivo, stante l’accelerazione nei mutamenti nella compagine sociale, la ristrutturazione radicale di ogni costruzione culturale (dall’idea di natura, alla comprensione di famiglia e di genere), la frantumazione di ogni narrazione unitaria – e di ogni autorità – che si ponga a qualsiasi livello (morale, politico, religioso) come principio di interpretazione o fruizione del mondo.</span></p> <p>Una revisione nei modelli dei centri parrocchiali si esige sia ex parte ecclesiae, perché essi possano corrispondere efficacemente allo scopo primario per cui essi sorgono e si specificano nell’attuale prospettiva ecclesiale, sia ex parte mundi, per verificare il ruolo che essi possono giocare nel disegno della città, nell’offerta di servizi, nella costruzione di una sua immagine.</p> <p>La questione non tocca solo i complessi in progettazione o erigendi, ma anche quelli già costituiti, la cui presenza muta in termini di rappresentatività, ruolo e interpretazione. Da immagini del centro, essi sono divenuti uno tra i centri, in una dimensione urbana che si è fatta policentrica e che, non a caso, ammette il suo duale nella rete, connessione senza gerarchia di centri.</p> <p>Cerniere tra Chiesa e mondo, l’interrogativo sui complessi parrocchiali comporta una interpretazione sinottica di entrambi i termini della questione, con evidente amplificazione della complessità e delle competenze necessarie a dipanarla.</p> <p><span style="font-weight: 400;">Aggrava ulteriormente la difficoltà dell’analisi il fatto che tra i due termini non si vi sia un regime di opposizione. Ciò non solo perché la Chiesa si fa carico dei travagli e delle attese del mondo, ma perché la Chiesa stessa, nella sua dimensione sociale, del mondo è porzione.</span></p> <p>Le conseguenze di quest’ultima considerazione si misurano anzitutto numericamente, nel calo radicale dei credenti e dei frequentanti la pratica religiosa. Conseguente e proporzionale anche la diminuzione dei sacerdoti, il cui numero già si dimostra inferiore rispetto a quello delle parrocchie e delle strutture da gestire. L’idea di complesso parrocchiale non necessita dunque solo di una revisione relativa alla sua conformazione spaziale, ma anche al suo modello giuridico e gestionale, per consentire una diversa organizzazione ed una effettiva e sostanziale nuova distribuzione delle responsabilità.</p> <p>Il tema è reso particolarmente delicato, perché se le parrocchie sono “figura della Chiesa,” una loro riorganizzazione implica anche una re-interpretazione della Chiesa stessa.</p> <p>La presente iniziativa propone una revisione critica di un’impronta insediativa che, nonostante l’innegabile importanza nella strutturazione della città moderna, ha avuto emersioni scarse nel dibattito culturale e nella ricerca, complice anche l’intrinseca complessità del tema, crocevia della gran parte dei fenomeni culturali e sociali che hanno contribuito nel medio e nel lungo periodo a determinare l’attuale fisionomia dell’Europa e, particolarmente, del Paese.</p> <p>La revisione critica della figura e del ruolo dei complessi parrocchiali comporta dunque il coinvolgimento di tutti i piani ermeneutici che derivano dalle discipline specifiche dell’urbanistica e della sociologia, del diritto e della storia, dell’ecclesiologia e della teologia, la cui considerazione pare fondamentale in termini di analisi e progetto, per contribuire a un aggiornamento relativo all’articolazione spaziale, ai modelli gestionali e programmatici per complessi parrocchiali adeguati alle condizioni delle città contemporanee.</p> <p><strong>QUESTIONI APERTE</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">1. Lo spazio e la sua organizzazione difficilmente sono luoghi indifferenti. Quale è il paradigma ecclesiologico e quale il rapporto tra Chiesa e città sotteso ai modelli di centri parrocchiali che punteggiano la città contemporanea? Se ne può chiedere una “conversione” o un adeguamento al presente? Alla luce di quale nuova interpretazione, con quali implicazioni programmatiche, gestionali e giuridiche? </span></p> <p><span style="font-weight: 400;"> 2. Le più audaci o interessanti elaborazioni progettuali, di scardinamento e riconfigurazione del modello di Chiesa che nei complessi parrocchiali si manifesta, sono oltralpe. Tuttavia, già l’omologazione del modello programmatico e funzionale di complesso parrocchiale, che ha investito le realtà italiane dal nord al sud, poneva un problema circa i limiti di replicabilità di esperienze e ispirazioni. La relazione tra globale e locale non è nuova nella vicenda storica del cristianesimo e la concezione della parrocchia ne è l’ultima declinazione, se, come immagine locale della Chiesa, essa deve farsi carico delle specificità delle comunità e dei luoghi, dell’interpretazione delle peculiarità e delle tradizioni. In questa tensione tra tendenze globali e locali, tra significati universali e particolari, come si costruisce un punto di equilibrio? Quali condizioni lo favoriscono, quali strumenti lo consentono? </span></p> <p><span style="font-weight: 400;">3. Vi è infine da concentrare l’analisi sul rapporto tra le chiese e la città. Risolto il doppio legame tra comunità religiosa e comunità civile e tra religione e cristianesimo, che cosa rappresentano le chiese per la città e cosa rappresenta la città rispetto ai complessi parrocchiali? Quali relazioni istituzionali, morfologiche e sociali, semantiche e iconiche tra chiese e quartieri, tra città e Chiesa? </span></p> <p><strong>INFO</strong></p> <p>La conferenza si terrà a Bologna, il <strong>7-8 marzo 2024</strong><br>Ricercatori, studiosi e professori di architettura, urbanistica, teologia, sociologia e antropologia sono invitati a partecipare a questa iniziativa.</p> <p>Per iscriversi alla conferenza, si prega di inviare i materiali sottoelencati all’indirizzo mail:<br><strong>thechurchesandthecity2024@aol.com</strong> :</p> <p>- un file world contenente un abstract di non più di 400 parole e bibliografia principale;</p> <p>- un secondo file world con breve CV dell’autore/autori, in non più di 200 parole.</p> <p>Gli abstract pervenuti saranno valutati in modalità anonima dal Comitato Scientifico. La registrazione alla conferenza sarà gratuita per tutti gli autori degli abstract accettati.</p> <p>I contributi completi relativi agli abstract accettati saranno richiesti dopo la conferenza. Una loro selezione (svolta ancora in un processo blind peer review) sarà pubblicata su <em>In_bo</em>. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura. La pubblicazione dei contributi sarà gratuita per tutti gli autori ammessi. La pubblicazione del volume è prevista entro febbraio 2025.</p> <p><strong>CALENDARIO</strong></p> <p><strong>NUOVA DEADLINE 8 Gennaio 2024 </strong> | Chiusura della call for abstract</p> <p><strong>15 Gennaio 2024</strong> | Notifica della accettazione degli abstract</p> <p><strong>29 Gennaio 2024</strong> | Invio dell’abstract definitivo e iscrizione al convegno</p> <p><strong>7-8 Marzo 2024</strong> | <a href="https://events.unibo.it/churchandcity">Conferenza a Bologna</a></p> <p><strong>27 Maggio 2024</strong> | Scadenza per l’invio dei contributi completi</p> <p><strong>22 Luglio 2024</strong> | Notifica dell’accettazione dei contributi</p> <p><strong>Febbraio 2025</strong> | Pubblicazione del volume</p> </div> </div> </div> 2023-08-10T18:41:49+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/505 NEWS: Call for applications per il comitato editoriale di in_bo 2022-03-25T08:39:06+01:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;"> è alla ricerca di </span><strong>due nuovi membri</strong><span style="font-weight: 400;"> da inserire nel suo comitato editoriale.&nbsp;</span></p> <p><strong><em>in_bo</em></strong><span style="font-weight: 400;"> è una </span><strong>rivista digitale e </strong><strong><em>open-access</em></strong><span style="font-weight: 400;">, fondata nel 2008 e di proprietà del </span><strong>Dipartimento di Architettura</strong><span style="font-weight: 400;"> dell’</span><strong>Università di Bologna</strong><span style="font-weight: 400;">. Pubblica annualmente numeri tematici riguardanti </span><strong>il progetto architettonico, la storia dell’architettura e gli studi urbani</strong><span style="font-weight: 400;">, con un’attenzione particolare per la didattica d’architettura e le intersezioni tra architettura, cultura, riti e società.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Dal 2016 </span><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;"> è presente all’interno dell’elenco ANVUR delle riviste di classe A ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale. Inoltre, nel 2019 essa è stata ammessa nel database bibliografico </span><strong>Scopus</strong><span style="font-weight: 400;"> di Elsevier.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">I membri del comitato editoriale seguono tutte le fasi relative alla pubblicazione della rivista: redigono le </span><em><span style="font-weight: 400;">call for papers</span></em><span style="font-weight: 400;">, coordinano la </span><em><span style="font-weight: 400;">submission</span></em><span style="font-weight: 400;"> dei saggi e il processo di </span><em><span style="font-weight: 400;">peer-review</span></em><span style="font-weight: 400;"> fino al </span><em><span style="font-weight: 400;">copy-editing</span></em><span style="font-weight: 400;">, si occupano della comunicazione attraverso newsletter e social network, e sono responsabili della </span><strong>qualità</strong><span style="font-weight: 400;"> del prodotto finale. Essi giocano un ruolo fondamentale anche nella definizione di nuove tematiche e prospettive per </span><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;">, condividendo idee, e pianificando nuove uscite ed eventi: tutti i membri sono attivamente coinvolti nella crescita e sviluppo della</span><span style="font-weight: 400;"> rivista. Si prega comunque di considerare che la posizione non prevede un compenso economico.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Il comitato editoriale solitamente tiene </span><strong>incontri </strong><span style="font-weight: 400;">online una volta al mese, e riunioni in presenza una o due volte all’anno, a Bologna: la partecipazione a questi momenti è obbligatoria. Per chi è madrelingua italiano, è raccomandabile una buona conoscenza dell’inglese; per gli altri, quella dell’italiano scritto.</span></p> <p><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;"> accoglie figure nuove che siano esperte in almeno uno di questi ambiti: storia e teoria dell’architettura, composizione architettonica, tecnologia dell’architettura, architettura del paesaggio, urbanistica, storia contemporanea, antropologia, filosofia, sociologia.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Ai candidati è richiesto di inviare un </span><strong>breve CV</strong><span style="font-weight: 400;"> (3 pagine al massimo) e una </span><strong>lettera di presentazione</strong><span style="font-weight: 400;"> in italiano o in inglese, </span><strong>entro il 1 maggio 2022</strong><span style="font-weight: 400;">, all’indirizzo </span><span style="font-weight: 400;">in_bo@unibo.it</span><span style="font-weight: 400;">. I candidati pre-selezionati saranno contattati per un colloquio con il comitato editoriale di </span><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;">; i nuovi membri saranno infine nominati </span><strong>entro il 15 giugno 2022</strong><span style="font-weight: 400;">, per un mandato della durata di 3 anni.</span></p> <p>Scarica la call <a href="https://drive.google.com/file/d/13jpH-CAxbYvkMnpAuKU4gE8-YvGLjswT/view?usp=sharing">qui</a></p> 2022-03-25T08:39:06+01:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/493 Call for papers: Verso nuove estati | DEADLINE EXTENDED 2022-02-10T11:23:50+01:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><strong>INTRO</strong></p> <p>Lo stato di abbandono di numerose ex-colonie per l’infanzia sparse nel territorio italiano sottolinea l’urgenza di un dibattito scientifico-critico sulla storia e il futuro di questi edifici. Dalle valli alpine alle zone costiere, le ex-colonie per l’infanzia raccontano una lunga storia di sperimentazione sanitaria, pedagogica, architettonica e sociale che ha influenzato generazioni di cittadini in Italia e in Europa negli ultimi centocinquant’anni. Ospitate in architetture tradizionali o dalla grande modernità, realizzate in materiali da costruzione duraturi come il cemento armato o effimere come tende, le ex-colonie hanno lasciato significative tracce, fisiche e non, nel paesaggio e nella società.</p> <p>L’obiettivo di questa <em>call for abstracts</em> è raccogliere e discutere le più recenti ricerche relative alla storia delle colonie per l’infanzia in Europa tra Ottocento e Novecento – dall’architettura alla pedagogia, dalla politica alla sanità – e mettere in luce esperienze virtuose di riuso e restauro di tale patrimonio architettonico.</p> <p>Autori e autrici sono invitati a inviare un abstract in italiano o inglese. Le proposte selezionate verranno presentate in un convegno internazionale che si terrà il <strong>15 e 16 settembre 2022</strong> a <strong>Ravenna</strong>. Una selezione dei migliori contributi sarà pubblicata nel 2023 in un numero speciale di <em>in_bo</em>, rivista scientifica e <em>open-access</em> edita dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, inserita nell’elenco ANVUR delle riviste di classe A e ammessa nel database Scopus.</p> <p><strong>TEMI</strong></p> <p>Il convegno affronterà due aree di interesse:</p> <p>– la storia architettonica, pedagogica e sociale delle colonie per l’infanzia dall’Ottocento al secondo Novecento;</p> <p>– le attuali politiche di riuso, valorizzazione e messa a sistema di tale patrimonio.</p> <p><strong>1. Verso una storia delle colonie per l’infanzia</strong></p> <p><strong>1a. La nascita delle colonie per l’infanzia, tra sanità, </strong><strong>beneficenza e turismo</strong></p> <p>Le radici delle colonie per l’infanzia in Europa affondano nell’Ottocento e sono da ricondurre al più vasto fenomeno sanitario e terapeutico relativo alla cura delle malattie infettive legate all’apparato respiratorio, come la tubercolosi. Le prime colonie per l’infanzia uniscono sperimentazioni mediche, cure climatiche e modelli di beneficenza borghese e producono risultati diversi per obiettivi e modalità di gestione, dagli <em>ospizi marini</em> di Giuseppe Barellai in Italia alle <em>Ferienkolonien</em> di Hermann Walter Bion in Svizzera. Al tempo stesso, queste esperienze si inseriscono in recenti tendenze di valorizzazione di nuove mete turistiche costiere e montane, spesso rese accessibili dalle linee ferroviarie in costruzione.</p> <p>Questa sessione ha l’obiettivo di raccogliere ricerche storiche, architettoniche e pedagogiche sulle prime esperienze di colonie per l’infanzia in Europa. La sessione intende discutere e affrontare i modelli spaziali e tipologici delle prime colonie, gli indirizzi sanitari e terapeutici, le affinità e divergenze tra i diversi contesti nazionali e geografici, l’influenza dell’architettura per le colonie sull’emergere della moderna architettura ospedaliera, e le tracce di questo patrimonio nel paesaggio contemporaneo.</p> <p><strong>1b. Colonie come strumento di propaganda politica nei regimi totalitari del Novecento</strong></p> <p>Numerosi regimi totalitari hanno scritto la storia d’Europa durante il secolo breve. Dall’Italia fascista alla Spagna franchista, dal Terzo Reich ai regimi socialisti, l’educazione dei giovani è stata al centro dell’interesse dei totalitarismi. Le colonie per l’infanzia rappresentano una lente attraverso cui leggere le politiche di controllo del tempo libero delle giovani generazioni e la loro formazione in senso politico e militare.</p> <p>Un caso particolarmente noto e documentato è l’esperienza delle colonie per l’infanzia durante il ventennio fascista in Italia, il cui ruolo sociale supera la finalità sanitaria-assistenziale e assume significati militari e razziali, trasformandole in uno strumento di formazione nazionalistica e ideologica. Nascono così nuovi modelli pedagogici e nuovi linguaggi architettonici, supportati da una generazione di architetti che fa proprie le istanze del regime. Ma non c’è solo l’esperienza italiana: solo a titolo di esempio si possono ricordare le organizzazioni Hitler-Jugend e Kraft durch Freude nella Germania nazista, e le esperienze relative alle colonie per l’infanzia nei paesi socialisti, coordinate dall’Organizzazione dei pionieri.</p> <p>Questa sessione si propone di riunire le recenti ricerche sulle colonie per l’infanzia nei totalitarismi del Novecento in Europa, mettendo in relazione le affinità e le divergenze ideologiche, educative e architettoniche in relazione ai diversi contesti sociali e politici. Sono benvenute proposte che affrontano queste tematiche attraverso casi studio inediti e nuovi punti di vista, anche in relazione al tema del <em>difficult heritage</em> rappresentato dall’architettura delle ex-colonie, spesso simbolo di visioni totalitarie dalla storia complessa e divisiva.</p> <p><strong>1c. Colonie per l’infanzia, tra democrazia e <em>welfare state</em></strong></p> <p>Le colonie per l’infanzia in Europa non sono state una prerogativa dei soli regimi totalitari. A partire dai primi tentativi di <em>welfare</em> fino agli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra in Occidente, l’organizzazione del tempo di vacanza per i più giovani è stata al centro dell’interesse dei governi democratici – si pensi ad esempio alle <em>colonie de vacances</em> francesi alle <em>barnkoloni</em> svedesi. Un momento particolare è rappresentato dai decenni che seguono la fine della Seconda guerra mondiale, quando le colonie vivono un periodo di grande popolarità, allontanandosi dalle originarie finalità sanitarie o educative e sovrapponendosi al crescente fenomeno del turismo di massa. Nell’Europa occidentale convivono colonie religiose, statali, di partito, aziendali, ecc. Le multiformi direzioni pedagogiche si traducono in numerose nuove costruzioni dai diversi linguaggi architettonici, più o meno sperimentali e più o meno evidenti nel denso tessuto urbano delle località di vacanza. Nonostante il grande successo che le colonie per l’infanzia hanno vissuto dopo il 1945, questo particolare periodo storico risulta ancora poco approfondito dal punto di vista non solo sociale e politico, ma anche architettonico e urbano.</p> <p>Questa sessione intende raccogliere interventi sulle specificità architettoniche, politiche e pedagogiche che hanno caratterizzato l’esperienza delle colonie per l’infanzia all’interno del più vasto fenomeno legato alla costruzione dei <em>welfare state</em> in Europa nel Novecento. La sessione intende inoltre raccogliere studi comparativi sulle analogie e/o differenze pedagogiche e architettoniche tra le colonie organizzate nell’ambito di governi democratici e quelle organizzate da regimi totalitari.</p> <p><strong>2. Dopo l’abbandono: Il riuso delle ex-colonie oggi</strong></p> <p><strong>Catalogo di politiche e pratiche per la valorizzazione del patrimonio delle ex-colonie</strong></p> <p>Dalla seconda metà degli anni Settanta l’esperienza delle colonie è andata declinando in tutta Europa. La progressiva individualizzazione del tempo libero e quindi delle vacanze ha minato alla base il concetto delle colonie per l’infanzia, il cui fenomeno si è di fatto estinto nel giro di pochi decenni. Tuttavia, le tracce di queste esperienze sono ancora presenti nei tessuti urbani costieri, montani e rurali: centinaia di ex-colonie costellano il continente europeo e ancora attendono progetti di riqualificazione e riuso. A parte pochi esempi virtuosi, si assiste ad una generale indifferenza riguardo tali immobili, le loro storie e la loro presenza nel paesaggio.</p> <p>Nell’ultimo decennio le ex-colonie sono diventate protagoniste di una particolare fascinazione nostalgica, spesso veicolata attraverso l’obiettivo fotografico. Mappate come luoghi abbandonati – le ex-colonie censite dall’Associazione Spazi Indecisi – o ritratte come ruderi nel paesaggio – progetti fotografici di Dan Dubowitz, Lorenzo Mini e Fabio Gubellini –, queste architetture suscitano oggi l’interesse di un pubblico sempre maggiore.</p> <p>Questa sessione ha l’obiettivo di raccogliere interventi di ricercatori, progettisti, proprietari e amministrazioni riguardanti esempi virtuosi di riqualificazione e riuso programmatico di ex-colonie per l’infanzia, in diversi contesti geografici e dalle diverse finalità, pubbliche e/o private. Lo sviluppo di pratiche di riuso è spesso contrastato dalla frammentazione proprietaria, dalle dimensioni dei fabbricati e dalle trasformazioni del tessuto urbano circostante. In queste condizioni, l’interesse verte sui processi mediante i quali si costruiscono azioni politiche e progettuali di intervento. Lo scopo della sessione è promuovere un confronto sulle <em>best practices</em> adottate e da adottare in vista del riuso delle ex-colonie in sinergia con territori e le loro comunità.</p> <p><strong>INFO</strong></p> <p>Autrici e autori sono invitati a inviare un <strong>abstract</strong> con bibliografia in italiano o in inglese (4000 caratteri spazi inclusi) e una breve <strong>nota biografica</strong> (350 caratteri spazi inclusi) alla mail <strong>in_bo@unibo.it</strong> entro il <strong>15 aprile 2022</strong>. Si prega di segnalare la sessione di riferimento all’interno del documento (1a, 1b, 1c, 2).</p> <p>Gli abstract saranno valutati in modalità anonima dal Comitato Scientifico. In caso di accettazione e valutazione positiva della ricerca a seguito del convegno, sarà richiesto l’invio del <em>full paper</em> per la pubblicazione sulla rivista <em>in_bo</em> entro dicembre 2022. Maggiori informazioni saranno fornite in occasione del convegno. In vista della pubblicazione, i saggi saranno valutati secondo una procedura di <em>double-blind peer review</em>.</p> <p>Il convegno si terrà in modalità mista, in presenza e <em>online</em>, compatibilmente con l’evolversi dell’emergenza pandemica.</p> <p><strong>CALENDARIO</strong></p> <p><strong><span style="text-decoration: underline;">nuova deadline</span> 1 maggio 2022</strong> | chiusura della <em>call for abstracts</em></p> <p><strong>15 maggio 2022</strong> | notifica di accettazione degli abstract</p> <p><strong>15 luglio 2022</strong> | invio dell’abstract definitivo e iscrizione al convegno</p> <p><strong>15–16 settembre 2022</strong> | convegno a Ravenna</p> <p><strong>Scarica questa <a href="https://drive.google.com/file/d/152THaV0bh9FaZubgqzOG_WEr9iti84vx/view?usp=sharing">call</a> [PDF]</strong></p> 2022-02-10T11:23:50+01:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/463 Call for papers: Città e territori di democrazia 2021-08-10T10:52:49+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><strong>Città e territori di democrazia</strong></p> <p>a cura di <strong>Ilaria Agostini, Luigi Bartolomei e Elena Franco</strong></p> <p><a href="https://drive.google.com/file/d/1aXAMb-CneENe2oEV8NLkf6i1XDS4NUof/view">Scarica questa call for paper</a></p> <p><strong>Introduzione</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">Esiste un nesso tra territorio e politica, tra spazio e democrazia. La democrazia (etimologicamente: </span><em><span style="font-weight: 400;">il potere del popolo</span></em><span style="font-weight: 400;">) è connaturata alla </span><em><span style="font-weight: 400;">polis</span></em><span style="font-weight: 400;">, da cui il termine </span><em><span style="font-weight: 400;">politica</span></em><span style="font-weight: 400;">,</span> <span style="font-weight: 400;">che esprime l’arte del governo, proviene. Se la città è di fatto il luogo fondante della politica, come lo è il territorio su cui essa esercita la propria giurisdizione, la democrazia è allora forma di governo </span><em><span style="font-weight: 400;">situata</span></em><span style="font-weight: 400;">, modellata dalle relazioni intercorrenti tra popolazioni insediate e strutture dell’habitat.&nbsp;</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">&nbsp;</span><span style="font-weight: 400;">La connessione tra forme di esercizio del potere e forme della città ha tuttavia bisogno di verifiche. Un ordinamento democratico implica una </span><em><span style="font-weight: 400;">città</span></em> <em><span style="font-weight: 400;">democratica</span></em><span style="font-weight: 400;">?</span> <span style="font-weight: 400;">Il quesito apre la riflessione sull’effettività dell’azione democratica di fronte alle deformazioni che investono il modello dell’abitare aggregato – la città – che resta esposto a polarizzazioni, sperequazioni, disuguaglianze. In un ecosistema globale </span><em><span style="font-weight: 400;">coevolutivo</span></em><span style="font-weight: 400;"> dove le società locali trasformano (e si trasformano con) gli ambienti in cui esse vivono, una perturbazione nelle modalità dell’abitare finisce per perturbare anche le forme di governo, e viceversa. In questo moto di divenire e con-divenire, una delle condizioni di salvaguardia della democrazia è la salvaguardia concettuale di ciò che chiamiamo </span><em><span style="font-weight: 400;">città democratica</span></em><span style="font-weight: 400;">, senza tuttavia poterne circoscrivere per intero senso, caratteri, limiti. È inevitabile allora chiedersi se, dove, come e quando questa </span><em><span style="font-weight: 400;">città democratica</span></em><span style="font-weight: 400;"> si è manifestata; se essa sia espressione reale o utopica, constatazione o desiderio; se esistano parametri che ne identificano la </span><em><span style="font-weight: 400;">democraticità</span></em><span style="font-weight: 400;">, se un’estetica la contraddistingue.&nbsp;</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Quali che siano le connessioni poietiche tra spazialità e ordinamento politico, questo tuttavia dispone di strumenti per orientare lo sviluppo di quella. E tra lo spazio e il suo governo si interpone l’urbanistica, disciplina tecnica (a forte vocazione politica) che, stemperando i conflitti in merito alla “produzione dello spazio”, predispone scenari la cui realizzazione è sostenuta dal </span><em><span style="font-weight: 400;">nomos</span></em><span style="font-weight: 400;">, frutto di un discernimento collettivo. La pianificazione urbanistica ha finora tentato di compiere il suo mandato sociale. Laddove invece il compito non è stato assolto, il territorio è stato plasmato dal mercato.&nbsp;&nbsp;</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">&nbsp;</span><span style="font-weight: 400;">Studiare l’irruzione egemonica delle forze economiche è, perciò, indispensabile per definire in quali rapporti stanno oggi urbanistica/architettura e democrazia. L’analisi dello stato di permeabilità delle istituzioni democratiche da parte delle forze mercantili (e quindi non democratiche) fornisce i mezzi per comprendere se la pianificazione sia in grado oggi di produrre aspirazioni, elaborare modelli, sostenere – simbolicamente e praticamente – la produzione di paesaggi di radicamento capaci di sollecitare corresponsabilità territoriali, di tracciare linee di sviluppo per città più eque (anche in termini ecologici), meno gerarchizzate; nelle quali le “periferie esistenziali” possano finalmente dissolversi; nelle quali i risultati di processi decisionali </span><em><span style="font-weight: 400;">dal basso</span></em><span style="font-weight: 400;"> conformino effettivamente lo spazio comune; nelle quali presso la cittadinanza sia avvertita </span><em><span style="font-weight: 400;">co-appartenenza</span></em><span style="font-weight: 400;">, partecipazione e corresponsabilità; </span><span style="font-weight: 400;">nelle quali, l’ibridazione con il digitale generi virtuosi progressi.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Il transito valoriale del nostro tempo è, in questo senso, da soppesare e prendere in considerazione. Il crollo ideologico e spirituale, il tramonto del </span><em><span style="font-weight: 400;">welfare</span></em><span style="font-weight: 400;"> e dell’esercizio di diritti sociali emancipativi lascia spazio alla rivendicazione di diritti alla libertà personale, frutto al tempo stesso di un generale processo di individualizzazione e di una mutazione civile attenta all’inclusione delle diversità, dei più deboli, degli emarginati. In questo contesto riteniamo che sia opportuno far emergere la condizione attuale della riflessione scientifica sulla gestione dei processi decisionali urbani, inclusiva delle istanze provenienti da tutte le fasce sociali; sui modi in cui gli ambienti di vita si generano e si rigenerano aderendo a nuovi comportamenti, al rinnovato uso e ruolo dello spazio pubblico ed anche alla nuova </span><em><span style="font-weight: 400;">mixité</span></em><span style="font-weight: 400;"> funzionale dello spazio privato.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">L’urbanistica precede, accompagna o segue la decisione politica? Urge verificare se lo strumentario urbanistico – stemperato nella sua efficacia anche dalle condizioni economiche, operative e politiche in cui si muovono le pubbliche amministrazioni – sappia assorbire l’accelerazione dei cambiamenti in atto, se sappia orientarne l’evoluzione, se abbia infine coniato un linguaggio capace di rappresentare la fluidità del tempo presente. Se la disciplina sia ridotta a norma e tecnica, o abbia anche competenze di visione e pre-visione, è un interrogativo che chiama in campo la ricerca e la didattica universitarie.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Infine, il territorio: investito dai cambiamenti più rapidi, indotti da nuove modalità di lavoro, di produzione e di distribuzione globale della ricchezza, dal massiccio impatto visivo, infrastrutturale e logistico. La questione supera i confini delle città, travolge il periurbano e investe le aree rurali, ovvero quel territorio che sostiene energeticamente e biologicamente la città e che, come scriveva Carlo Cattaneo, la ha, a volte, rigenerata. Il rapporto tra democrazia e ambiente, in termini di “auto-sostenibilità”, misurata cioè sulla produzione/riproduzione delle risorse locali; e il nesso tra politica e </span><em><span style="font-weight: 400;">visioni</span></em><span style="font-weight: 400;">, in termini di capacità di individuare i modi della “riterritorializzazione”, rientrano tra gli interrogativi a cui chiediamo risposta.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Esempi di migliori mondi possibili esistono. La pandemia di Covid-19 ne ha messi alcuni sotto i riflettori, dalle pratiche di mutualismo alla solidarietà urbana. Azioni di “autogoverno di territorio” sono sporadicamente presenti sul territorio: dalle comunità neoagricole alle nuove forme di coabitazione, dalle cooperative solidali alla messa in comune di servizi e risorse territoriali. Una poliedrica autodeterminazione che lascia aperto un interrogativo: se, e come, questi spiragli di </span><em><span style="font-weight: 400;">buena vida</span></em><span style="font-weight: 400;"> siano capaci di passare da pratiche di testimonianza e di rifugio alla ricomposizione del quadro di una nuova “città felice”. La </span><em><span style="font-weight: 400;">questione sociale</span></em><span style="font-weight: 400;">, obliterata negli anni del </span><em><span style="font-weight: 400;">There Is No Alternative</span></em><span style="font-weight: 400;">, è tornata all’ordine del giorno, non più disgiunta dal tema del </span><em><span style="font-weight: 400;">ritorno</span></em><span style="font-weight: 400;"> della statualità e di quello ambientale.</span></p> <p><strong><em>in_bo </em></strong><strong>13, nº. 17</strong><span style="font-weight: 400;"> intende porre l’attenzione sul rapporto tra politica e territorio, tra democrazia e trasformazioni degli ambienti di vita. In particolare, in merito al ruolo della pianificazione urbanistica, la riflessione che intendiamo avviare verte sulla verifica delle sue attuali capacità: di produrre pratiche condivise di trasformazione dello spazio; di dare voce alle marginalità sociali; di mettere in atto sapienti gestioni delle risorse territoriali; di innovarsi e parlare una lingua contemporanea atta a comprendere le grandi transizioni in corso. </span><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;"> cerca con questa </span><em><span style="font-weight: 400;">call</span></em><span style="font-weight: 400;"> contributi interdisciplinari, che potranno essere presentati in forma testuale (sezione </span><em><span style="font-weight: 400;">Articoli</span></em><span style="font-weight: 400;">) o illustrata (sezione </span><em><span style="font-weight: 400;">Visioni</span></em><span style="font-weight: 400;">).&nbsp;</span></p> <p><strong>Temi</strong></p> <p><strong>_La città democratica: utopia e realtà</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">Pensiero e pratiche neoliberiste hanno messo in crisi il concetto di democrazia territoriale. A livello planetario, il modello gerarchizzato megapolitano rappresenta il nuovo stadio evolutivo delle città, con il rischio di un inurbamento a scapito di territori interni, depredati di risorse, governo e abitanti. Un modello che pare accelerare la schizofrenia territoriale, accentrare i poteri, produrre forme di governo sempre più tecnocratiche, determinare nelle aree interne il vuoto antropologico, funzionale, politico. La sparizione della città – pubblica, interclassista, aperta –, dovuta anche all’indebolimento della pianificazione territoriale, è il prodromo della privatizzazione della politica. Mercificazione dei centri storici, sottrazione all’uso collettivo degli spazi pubblici rappresentativi, allontanamento delle povertà favorito dalla retorica del decoro e del controllo. Sul territorio aperto, gli effetti non sono meno profondi: inquinamento agro-industriale, consumo di suolo al di fuori di qualsiasi fabbisogno abitativo e produttivo, desertificazione delle aree interne, congestione metropolitana.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Per porre rimedio a tali effetti, sono da lungo tempo studiati e avviati modelli e ipotesi metodologiche: dalla città dei 15 minuti alla città resiliente, dalla bioregione urbana policentrica ai parchi agricoli urbani, dalle forme pattizie territoriali all’ipertecnica delle </span><em><span style="font-weight: 400;">smart cities</span></em><span style="font-weight: 400;">. Studi che partono da lontano, ma che la pandemia ha esasperato, producendo inedite prospettive biomimetiche e posture simpoietiche.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">In questo scenario, quale ruolo riveste l’urbanistica? Quale relazione tra scenari utopici, nuovi modelli di gestione e concrete pratiche di pianificazione?</span><span style="font-weight: 400;">&nbsp;</span></p> <p><strong>_Eterotopie, resistenze, pratiche politiche</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">Il </span><em><span style="font-weight: 400;">trentennio neoliberista</span></em><span style="font-weight: 400;"> ha rimesso in discussione i fondamenti democratici territoriali, la rappresentanza, il potere deliberativo spesso sottoposto alla pressione economica di </span><em><span style="font-weight: 400;">corporations</span></em><span style="font-weight: 400;"> di natura, appunto, non democratica. La </span><em><span style="font-weight: 400;">mutazione genetica</span></em><span style="font-weight: 400;"> dell’urbanistica si è prodotta attraverso lo smantellamento delle garanzie di partecipazione nelle procedure e nei processi di piano. Si ha l’impressione di essere di fronte all’erosione di una disciplina </span><em><span style="font-weight: 400;">progressiva</span></em><span style="font-weight: 400;">, di misure legislative e di pratiche amministrative, capaci di lenire le disparità sociali e di frenare gli appetiti speculativi fondiari e immobiliari. La pianificazione urbanistica, abbandonato il suo mandato sociale, ha assunto un nuovo strumentario più sensibile verso l’economia di mercato, a cui ha conformato obiettivi e metodi: negoziazione, cartolarizzazione dei beni demaniali, </span><em><span style="font-weight: 400;">governance</span></em><span style="font-weight: 400;"> territoriale di ascendenza aziendalista, estrema settorializzazione normativa ecc.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Ciò che accade nella prassi politica e amministrativa è contrastato da una ricca tradizione di studi circa le ipotesi di forme democratiche che reagiscono e si confrontano con la gerarchizzazione territoriale, il gigantismo megalopolitano, la tecnocrazia applicata alle conurbazioni globali. Dall’”autonomia di villaggio” praticata da Gandhi, alla “democrazia diretta” teorizzata da Murray Bookchin e applicata nelle forme di autogoverno del Rojava. Oggi la “democrazia dei luoghi” ha fisionomia cangiante: reti municipali, patti di collaborazione alla scala di quartiere o di rione; pulviscolari forme di auto-organizzazione, sperimentazioni </span><em><span style="font-weight: 400;">situate</span></em><span style="font-weight: 400;"> che fanno leva sul mutualismo solidale, sulla condivisione dei beni, sulla cooperazione e l’associazionismo. Si tratta di esperienze di pianificazione dal basso, di ricomposizione sociale e di autonomia democratica; talvolta extra-istituzionali, autonome e auto-organizzate, sempre dal forte valore sorgivo. La loro istituzionalizzazione è complessa e può dimostrarsi devitalizzante.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Esperienze, casi di studio, riflessioni e analisi critica di fenomeni in atto ed efficacia di politiche urbane sono oggetto specifico di questa sezione.</span><span style="font-weight: 400;">&nbsp;</span></p> <p><strong>_La disciplina, il tramando, l’educazione&nbsp;</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">La schizofrenia che si registra nel governo del territorio testimonia la profonda crisi della pianificazione territoriale. Essa è evidente tanto a livello operativo, nella inefficacia di gran parte delle pratiche democratiche di trasformazione dello spazio (a confermare ancora l’attualità dell’approccio di Sherry Arnestein) quanto a livello culturale, ove si registra spesso un lessico accattivante, ma inconsistente, inutile per rappresentare e corrispondere ai mutamenti dell’abitare e inefficace nell’esercizio del tramando delle competenze specifiche.</span></p> <p><em><span style="font-weight: 400;">Green, smart, resilienza, partecipazione</span></em><span style="font-weight: 400;"> rischiano di essere vuote etichette attrattive, parole dalla semantica troppo ampia e dunque incapace di sostenere un’innovazione reale nelle pratiche di pianificazione. Alle nuove parole non corrisponde un nuovo fraseggio, né una nuova sintassi. Lo scollamento tra le parole e le cose, tra i fenomeni che si sperimentano nelle città e il lessico impiegato nell’apparato normativo e nel dibattito culturale (incapace di aggiornarsi il primo, troppo vago il secondo), sono un effettivo ostacolo all’esercizio di una gestione condivisa e partecipata della cosa pubblica e, segnatamente, dell’uso del territorio. Si rendono urgenti esperienze e laboratori per la ricostruzione di un lessico condiviso, e spazi e tempi innestati nei percorsi educativi ordinari per formare alla cura, alla corresponsabilità e alla partecipazione ai progetti di gestione della cosa pubblica a partire dalla sua prima manifestazione: lo spazio condiviso della città. Questa </span><em><span style="font-weight: 400;">call for papers</span></em><span style="font-weight: 400;"> è particolarmente interessata ai percorsi che nelle scuole di ogni ordine e grado formano alla gestione comune e condivisa del territorio.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Nelle università, in particolare, ove la pianificazione urbanistica diventa materia di insegnamento, qual è l’oggetto della didattica? Le norme e le tecniche oppure la visione di territorio e di città che le norme e le tecniche permettono di costruire? Vi è la speranza che questa </span><em><span style="font-weight: 400;">call</span></em><span style="font-weight: 400;"> possa generare un dibattito anche sulle modalità dell’insegnamento.</span></p> <p><strong>Info</strong></p> <p><span style="font-weight: 400;">Autrici e autori sono invitati a inviare un abstract in italiano o in inglese (3000–4000 caratteri spazi inclusi) alla mail in_bo@unibo.it entro il </span><strong>15 ottobre 2021</strong><span style="font-weight: 400;">. Esso dovrà essere redatto attenendosi alle linee guida della rivista, che si possono trovare sul sito in-bo.unibo.it/about. Al contributo dovrà essere allegata, in un file .doc separato, una breve bio (max 350 caratteri spazi inclusi) e l’affiliazione.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Per partecipare con una proposta grafica per la sezione </span><em><span style="font-weight: 400;">Visioni</span></em><span style="font-weight: 400;">, si può inviare una grafica, un’illustrazione, un progetto fotografico (o altro, purché in 2D.) alla mail in_bo@unibo.it entro il 15 ottobre 2021, allegando un breve abstract (1000 caratteri, spazi inclusi), bio e affiliazione.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">In caso di accettazione, i saggi dovranno essere caricati sulla piattaforma online di </span><em><span style="font-weight: 400;">in_bo</span></em><span style="font-weight: 400;"> al sito in_bo.unibo.it, in lingua italiana o inglese (con abstract in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra i 20.000 e i 50.000 caratteri spazi inclusi. I saggi saranno sottoposti a una procedura di double-blind peer review.</span></p> <p><span style="font-weight: 400;">Le proposte grafiche accettate saranno richieste in alta definizione. </span><span style="font-weight: 400;">Saggi e grafiche dovranno essere originali e inediti.</span></p> <p><strong>Calendario</strong></p> <p><strong>15 ottobre 2021</strong><span style="font-weight: 400;"> | Chiusura </span><em><span style="font-weight: 400;">call for abstracts</span></em></p> <p><strong>30 ottobre 2021</strong><span style="font-weight: 400;"> | Notifica di accettazione degli abstract</span></p> <p><strong>30 aprile 2022</strong><span style="font-weight: 400;"> | Consegna del saggio</span></p> <p><strong>luglio 2022</strong><span style="font-weight: 400;"> | Conclusione del processo di revisione</span></p> <p><strong>novembre 2022 </strong><span style="font-weight: 400;">| Pubblicazione</span></p> 2021-08-10T10:52:49+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/458 Call for papers: Call for paper – Sacra didattica 2021-06-14T14:50:55+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p>Call for papers</p> <p><strong>Sacra didattica. </strong><strong>Il sacro nella formazione tra architettura e design</strong></p> <div><em>in_bo </em>vol. 13, no. 7 (2022). Numero speciale</div> <div>&nbsp;</div> <p>&nbsp;</p> <div>in collaborazione con <strong>Fondazione Frate Sole</strong></div> <div>&nbsp;</div> <p>&nbsp;</p> <div>a cura di <strong>Luigi Bartolomei</strong> (Università di Bologna)</div> <div>&nbsp;</div> <p>&nbsp;</p> <div>con il supporto scientifico di <strong>Alberto Perez Gomez</strong> (McGill University, Montreal),&nbsp;<strong>Julio Bermudez</strong> (Catholic University of America),&nbsp;<strong>Francesca Sbardella</strong> (Università di Bologna), <strong>Paolo Tomatis</strong> (Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale), <strong>Giuliano Zanchi</strong> (Fondazione Adriano Bernareggi)</div> <div>&nbsp;</div> <p>&nbsp;</p> <div><strong><a href="https://drive.google.com/file/d/1MwbnjsNOZnz4xMbHPeh2yk0UHbtQHerv/view?usp=sharing">Scarica questa call for paper</a> </strong>(PDF)</div> <div>&nbsp;</div> <div><br> <p>Nelle sue 240 edizioni, distribuite in un arco temporale di circa due secoli e mezzo (1720-1967), per ben ventinove volte il <em>Prix de Rome </em>ha assunto a oggetto del competere un tema d’architettura sacra. La cattedrale è stata il tipo più frequentato, con una decina di ricorrenze, poi ci sono le chiese, le cappelle, i santuari, fino a temi della sacralità laica o nazionale, come il Tempio della Pace o il Pantheon.</p> <p>Il premio ricalcava una prassi comune nelle scuole d’architettura e nei politecnici, dove i temi d’architettura sacra e religiosa coincidevano e venivano offerti agli studenti come la palestra migliore all’esercizio della progettazione. Questi soggetti, da un lato, garantivano sufficiente libertà per sperimentare nuovi equilibri formali, all’intersezione tra fattori di gusto e nuovi materiali, dall’altro presentavano sufficiente chiarezza nei loro presupposti semantici per vincolarne il disegno alla comunicazione di contenuti storicamente stratificati e socialmente condivisi.</p> <p>Oggi solo la <strong>Fondazione Frate Sole</strong> promuove regolarmente un <a href="https://fondazionefratesole.org/premio-europeo/">premio</a> d’architettura sacra aperto a studenti, mentre il peso e il ruolo del sacro nei laboratori e nella didattica d’architettura odierna non è oggetto di censimenti.</p> <p>A ciò vuole corrispondere questa <em>call for papers</em>, volta a costruire un numero speciale della nostra rivista sul ruolo e sull’utilità del sacro nella didattica d’architettura. Si tratta di valutare se esso possa essere ancora (e a quali condizioni) uno strumento efficace per provare da un lato le capacità degli autori, dall’altra l’espressività delle forme e dei materiali.</p> <p>Nel passato il sacro ha sempre costituito una condizione limite dell’architettura: le soluzioni più ardite e gli apparati più raffinati erano destinati al culto. Un destino del tutto analogo a quello dei manufatti e delle altre suppellettili: in tutte le civiltà antiche e in molte delle culture extra-occidentali si riserva al divino l’eccellenza dei prodotti artigianali. Si tratta di un fenomeno che estende l’interrogativo della presente <em>call for papers </em>a tutti gli ambiti della creatività, compresi quelli della produzione degli oggetti e del design. A tutte le scale il sacro ha stimolato la riflessione e la produzione di <em>bellezza</em>, così come, viceversa, quanto si riconosceva depositario di eccezionale qualità estetica veniva riservato al sacro (<em>sacrificato</em>) e spesso chiamato <em>divino</em>.</p> <p>Bisogna verificare se (e quale) sacro sappia alimentare ancora questa tensione creativa, tenuto conto delle amplificazioni nel nostro orizzonte socio-culturale, dei processi di secolarizzazione (e post-secolarizzazione) e dei mutamenti nell’estetica, nella produzione e nella percezione del sacro stesso, in parte corrispondenti a quelli nell’estetica e nell’insegnamento dell’architettura.</p> <p>In che misura e a quali condizioni il sacro può essere palestra per i progettisti contemporanei? Con quali limiti e relativamente a quali aspetti?</p> <p>Il tema, come si è detto, è metascalare e riguarda l’architettura così come gli oggetti di culto. L’esercizio di progettazione pone la riconsiderazione dei rapporti tra sacro e religioso. Oggi gli spazi dei riti rischiano di diventare temi di progettazione specialistica – non diversamente dagli stadi, in cui l’architettura non può prescindere dalla conoscenza delle regole e dalla forma del gioco – e le religioni individuano un elemento divisivo che mette in luce la fragilità e la parcellizzazione della società contemporanea. L’espansione del sacro oltre le religioni individua il tema vasto dell’architettura per la spiritualità a partire dalla cappella di Eero Saarinen al MIT (1955). Ma anche “prima” delle religioni il sacro è un elemento d’unità. Esso individua un sostrato psico-percettivo primordiale e comune, come insegnava Carl Gustav Jung, e una categoria universale dell’intelletto, come scriveva Rudolf Otto. Da tema critico in una società in cambiamento, il sacro è altrettanto un tema inevitabile della psicologia della <em>Gestalt</em>.</p> <p>Così l’interrogativo originario di questa <em>call </em>può ammettere anche la sua inversione: se il sacro è un tema antropologicamente (e spazialmente) ineludibile, dove e come la didattica d’architettura se ne occupa e insegna a gestirlo? Quali pretesti tematici e modalità operative sono adottati per avvicinarlo? E ancora, quale rapporto oggi tra sacro religioso e sacro antropologico? Quali temi d’architettura e di design si collocano alla loro intersezione?</p> <p>Dall’architettura al sacro e dal sacro all’architettura nella confusione degli ordini di priorità e primogenitura: è l’architettura a plasmare il sacro, o il sacro a generare l’architettura?</p> <p>Al centro della domanda pare palesarsi un cortocircuito o un paradosso contemporaneo per cui se da un lato l’architettura e il suo insegnamento non possono in alcun modo evitare il sacro, dall’altro si percepisce una sorta di imbarazzo nell’affrontarlo, quasi fosse un tema scomodo al quale solo qualche affermazione di principio o qualche luogo comune può garantire di svicolare. Proprio perché esso pare uno tra gli ultimi dei tabù, occorre porlo al centro di questo numero.</p> <p><strong>La <em>call</em> è aperta ad architetti, docenti d’architettura, designer, pedagogisti, antropologi, filosofi, ricercatori e intellettuali.</strong></p> <p><strong>Prospettive tematiche</strong> di particolare interesse sono quelle che approfondiscono le sollecitazioni della <em>call</em> in ambito</p> <ul> <li class="show">storico e storico-critico, a valle di ricerche sullo sviluppo storico dell’insegnamento dell’architettura e del design attraverso il tema del sacro; </li> <li class="show">teorico, circa la triangolazione tra sacro, didattica e architettura, mediante contributi originali o studi critici e comparativi intorno ad esperienze e punti di vista documentati; </li> <li class="show">materico-costruttivo, per il ruolo che la progettazione dello spazio sacro ha avuto nella sperimentazione e nell’appropriazione estetica dei progressi tecnologici e dei nuovi materiali da costruzione nel corso degli ultimi due secoli; </li> <li class="show">operativo, a partire da esperienze condotte nella didattica o nella progettazione (sia di nuovi manufatti che sull’esistente) o in laboratori costruttivi, di progettazione o prototipazione di oggetti. </li> </ul> <p>Gli autori sono invitati a inviare un <strong>abstract in italiano o in inglese</strong> (3000–4000 caratteri spazi inclusi) alla mail in_bo@unibo.it entro il <strong>13 settembre 2021</strong>. Gli abstract dovranno essere redatti attenendosi alle linee guida della rivista, che si possono trovare sul sito in_bo.unibo.it. Al contributo dovrà essere allegata, in un file .doc separato, una breve bio (max 350 caratteri spazi inclusi) e l’affiliazione. In caso di accettazione dell’abstract, i saggi dovranno essere caricati sulla piattaforma online di <em>in_bo</em> al sito in_bo.unibo.it, in lingua italiana o inglese (con abstract in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra le 20.000 e le 50.000 battute spazi inclusi. I saggi saranno sottoposti a una procedura di <strong><em>double-blind peer review</em></strong>. </p> <p><strong>Calendario</strong></p> <p><strong>13 ottobre 2021</strong> | Chiusura call for abstract</p> <p><strong>25 ottobre 2021</strong> | Notifica di accettazione degli abstract</p> <p><strong>15 aprile 2022</strong> | Consegna del saggio </p> <p><strong>Giugno 2022</strong> | Conclusione del processo di revisione</p> <p><strong>Ottobre 2022</strong> | Pubblicazione </p> </div> 2021-06-14T14:50:55+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/405 Call for Papers – Dominio del Sacro [nuova scadenza] 2020-07-22T00:00:00+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <h3><em>Immagine, cartografia, conoscenza della città dopo il Concilio di Trento</em> (In_bo vol. 12, no. 16)</h3><h3 id="foreword">Premessa</h3><p>Questa nostra rivista, <em>In_bo</em>, proprietà del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, è gestita da molti anni nella collaborazione tra <em>Centro Studi Cherubino Ghirardacci</em> di Bologna e <em>Fondazione Flaminia</em> di Ravenna. Questo rapporto, lungamente protrattosi de facto, è stato recentemente formalizzato mediante una apposita convenzione che, fissando formalmente i rapporti e i ruoli tra i soggetti implicati, rafforza anche l’identità culturale e l’autorevolezza di questa nostra testata.</p><p><em>In_bo</em> è una rivista dedicata allo spazio (architettonico, urbano, vasto) in quanto abitato dall’uomo.</p><p>La preminenza di questo aspetto conduce a considerare lo spazio come un complesso deposito culturale. Funzioni, usi, comprensioni dei luoghi vengono considerati come il prodotto di una forma sociale, di una visione del mondo, di una <em>Weltanschauung</em> privata o condivisa, di una élite, di una personalità preminente o di una intera comunità organizzata.</p><p>L’intreccio di questi significati e valori si condensa particolarmente nel fenomeno urbano. Le città, pertanto, non si possono considerare solo una forma particolare od esemplificativa dell’abitare, ma ne costituiscono quasi il paradigma.</p><p>Ci è parso allora utile con questo numero tentare un approfondimento sulle radici della città moderna in occidente e sull’evoluzione degli strumenti che si sono adottati per conoscerla o controllarla.</p><p>L’occasione per questo affondo ci è anche stata suggerita dalla ricorrenza, nel 2019, dei 500 anni dalla nascita di Cherubino Ghirardacci, religioso agostiniano, bolognese, storico e cartografo, a cui si devono i primi studi intorno a riproduzioni a volo d’uccello della città di Bologna, perfezionati poi nella celebre vista degli appartamenti vaticani.</p><p>Il <em>Centro Studi Ghirardacci</em> ha celebrato l’anniversario del suo eponimo con una giornata seminariale interdisciplinare e con una mostra presso il Museo dell’Archiginnasio (6 dicembre 2019 – 6 gennaio 2020).</p><p>Oggi questa call intende proseguire e amplificare quell’occasione di incontro tra persone e saperi attenti ad un tempo di particolare mutamento nelle forme e negli strumenti con cui la città si conosce, si rappresenta e si governa in occidente.</p><p>Infine, per non fingerci tuttologi, e perché questi temi sono già delicato oggetto di studi particolari, ci siamo affidati a due curatori straordinari per questo numero, i professori Mario Carlo Alberto Bevilacqua (Università di Firenze) e Marco Folin (Università di Genova), che ringraziamo per avere accettato il nostro invito.</p><div style="text-align: right;"><p>La Redazione</p></div><h3 id="call-for-papers">Call for Papers</h3><p>a cura di:</p><p><strong>Mario Bevilacqua</strong><br /> <em>Università degli Studi di Firenze</em></p><p><strong>Marco Folin</strong><br /> <em>Università degli Studi di Genova</em></p><div style="text-align: center;"><p><a href="https://drive.google.com/file/d/1fgj5xQfGOYu25KIZodg6sfyoRtDTtiaJ/view?usp=sharing">Scarica questa Call for Paper</a> (PDF)</p></div><p>Fra Cinque e Seicento la geografia politica italiana si polarizza intorno a un gruppo di città di varia grandezza e tradizione: Roma e Firenze, Milano e Napoli, Genova e Venezia, Torino e Modena, antiche repubbliche e nuove capitali dinastiche, satelliti delle grandi monarchie europee e piccoli centri signorili. L’incontro – più sporadicamente lo scontro – tra i dettami del Concilio di Trento e gli interessi delle élites dominanti di queste città pone le basi per inedite forme di controllo sociale, culturale, spirituale, alimentando nuovi assetti e politiche urbani, in cui la presenza e la gestione del sacro diventa elemento fortemente condizionante.</p><p>Protagonisti sono allora la capillare presenza degli ordini religiosi maschili e della clausura femminile, il rinnovato apporto della curia vescovile residente, l’entità parrocchiale e il suo ruolo di controllo e registrazione sociale, il consolidarsi della presenza confraternale, il sorgere di nuovi luoghi di culto e pratiche di devozione.</p><p>In questo contesto la città italiana viene investita da nuove attenzioni, che in parte riflettono la temperie politico-religiosa, in parte rispondono ad alcuni cambiamenti tangibili del paesaggio urbano europeo: variazioni di scala dovute alle dinamiche demografiche ed economiche, processi di aristocratizzazione, il generale irrigidimento dei costumi, dei rapporti, dei valori coltivati nei più diversi ambiti della vita cittadina. Sono fenomeni che i contemporanei osservano con attenzione, elaborando nuovi strumenti di indagine, analisi, rappresentazione della città e dei relativi spazi ed edifici, ponendosi il problema di come indirizzarne la trasformazione, il rinnovamento architettonico e urbano.</p><p>Tutta la cultura del tempo è intrisa di questo rinnovato interesse per la città, la sua storia passata e il suo stato presente: la nascita e i primi orientamenti dell’archeologia cristiana ne sono un esempio fra i molti. Il mercato della stampa registra questi indirizzi che alimentano interi filoni editoriali, marcati da libri di grande fortuna e che possono essere considerati emblematici, come <em>Delle cause della grandezza delle città</em> di Giovanni Botero o <em>Roma sotterranea</em> di Antonio Bosio. Storie municipali, guide antiquarie, repertori di epigrafi, storie genealogiche, vite di santi, eroi e artisti locali, costruiscono un immaginario collettivo che passa attraverso la definizione del sacro.</p><p>Un’esigenza diffusamente avvertita è quella di poter disporre di strumenti di conoscenza della città nella sua dimensione topografica: piante, vedute, rilievi, manoscritti e a stampa. L’incisione, il libro illustrato, la cartografia diventano un mezzo di governo, ma anche uno strumento per diffondere rappresentazioni ufficiali e controllate, al tempo agiografiche o denigratorie, politiche e polemiche. Il caso di Bologna – soggetto di piante e rilievi a stampa, oltre che della grande veduta nella Sala dedicata nel palazzo Vaticano – è emblematico, ma quello di Torino nuova capitale è ugualmente significativo. Immagini di esemplare valore simbolico sono prodotte a Roma (dove la città antica, la cristiana e la pontificia si stratificano una sull’altra), così come a Milano, Siena, Napoli, solo per ricordare i casi più noti.</p><p>Un po’ dappertutto si istituiscono nuove magistrature con competenze in fatto di acque e strade, oppure le magistrature medievali vengono assoggettate a più stretti controlli da parte delle autorità sovrane. Vengono emanate normative che mirano a regolamentare il regime degli spazi pubblici in modo più puntuale che in passato: norme di decoro urbano, leggi di esproprio, incentivi al rinnovamento architettonico, ecc. I saperi ‘tecnici’ e i relativi cultori (architetti, ingegneri, agrimensori, giuristi, periti di vario genere) si vedono riconosciuto un ruolo più rilevante e specifico.</p><p>Si sollecitano pertanto contributi che prendano in considerazione:</p><ul><li><p>singole realtà urbane e aspetti della loro rappresentazione topografica, vedutistica, simbolica, in relazione a usi e fini diversi, a partire dalle specificità insorte in età post-tridentina;</p></li><li><p>episodi di intervento urbano in relazione alla configurazione di una nuova immagine della città in età post-tridentina;</p></li><li><p>analisi trasversali di aspetti, dinamiche, questioni legate ai temi di cui sopra (congiunture, contaminazioni, punti di svolta, affinità generazionali…).</p></li></ul><p>Il volume ambisce a esplorare – in un contesto già relativamente noto – le molte zone d’ombra che rimangono poco studiate: città, magistrature, personaggi emblematici; fonti documentarie, grafiche e cartografiche, ignorate o che potrebbero essere interrogate in modo diverso dal passato; casi paradigmatici di immagini urbane e della relativa diffusione. </p><p>Dal punto di vista cronologico, l’accezione post-tridentina va intesa in una dimensione dilatata: proposte che tocchino le trasformazioni degli assetti cinque-seicenteschi nei secoli successivi saranno benvenute. Altrettanto auspicabili le aperture comparative ad altri contesti politico-istituzionali, sociali e culturali, così come verso gli orizzonti in cui le manifestazioni di riforma del cattolicesimo romano si sono incontrate/scontrate con le riforme protestanti o i credi non cristiani.</p><p>Possibili spunti:</p><ul><li><p>Cartografia sacra (carte e vedute di città sotto l’egida della Vergine o dei santi patroni);</p></li><li><p>Cartografie della catastrofe (pestilenze, terremoti, incendi, distruzioni belliche);</p></li><li><p>Ordini religiosi e carte di città (rilievi commissionati in seno a specifici Ordini; carte di conventi e monasteri…);</p></li><li><p>Carte e vedute della povertà/marginalità/segregazione cittadina (ospedali, ospizi, ghetti…);</p></li><li><p>Le immagini urbane come strumento di controversia religiosa</p></li><li><p>L’iconografia urbana nel mercato della stampa (fogli volanti, incisioni d’autore, illustrazioni librarie…);</p></li><li><p>Piante e rilievi nelle pratiche d’ufficio delle magistrature urbane</p></li><li><p>Città di carta VS città di pietra (repertori grafici/demarcazioni fisiche di strade, quartieri, circoscrizioni);</p></li><li><p>La rappresentazione delle città nei grandi cicli geo-iconografici (es. Galleria delle carte geografiche in Vaticano);</p></li><li><p>Immagini urbane e distinzioni cetuali (carte e vedute come strumento di demarcazione sociale);</p></li><li><p>Strumenti, pratiche, manuali, mestieri del rilievo e della rappresentazione urbana.</p></li></ul><h3 id="info">Info</h3><p>Gli autori sono invitati a inviare un abstract in italiano o inglese (3000–4000 battute, spazi inclusi) alla mail <a class="email" href="mailto:in_bo@unibo.it">in_bo@unibo.it</a> entro il 1 ottobre 2020. Gli abstract dovranno essere redatti attenendosi alle linee guida della rivista. Al contributo dovrà essere allegata una breve bio (max 350 battute, spazi inclusi) e l’affiliazione.</p><p>Maggiori informazioni nelle <a href="/about">linee guida della rivista</a>.</p><p>In caso di accettazione dell’abstract, i saggi dovranno essere caricati sulla piattaforma online di in_bo al sito <a class="uri">https://in_bo.unibo.it</a>, in lingua italiana o inglese (con abstract in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra le 20.000 e le 60.000 battute spazi inclusi. I saggi saranno sottoposti ad una procedura di double-blind peer review.</p><h4 id="deadlines">Calendario</h4><ul><li><del>1 ottobre 2020</del> <ins>30 ottobre 2020</ins> | Chiusura call for abstracts</li><li><del>31 ottobre 2020</del> <ins>16 novembre 2020</ins> | Notifica di accettazione degli abstract</li><li>30 aprile 2021 | Consegna del saggio</li><li>Giugno 2021 | Conclusione del processo di revisione</li><li>Settembre 2021 | Pubblicazione</li></ul> 2020-07-22T00:00:00+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/352 NEWS: Inclusione in Scopus 2019-09-09T11:02:54+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura 2019-09-09T11:02:54+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/344 NEXT ISSUE: Call for Papers: Raccontare la città (in_bo Vol. 11, N. 15) 2019-07-15T00:00:00+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><strong>Aggiornamento: scadenza prorogata al 6 ottobre!</strong></p><div style="text-align: center;"><p><a href="https://drive.google.com/file/d/1H5Q42ZW0ki0E4zNLKGLkvD9icbvL5Fz8/view">Scarica questa Call for Paper</a> (PDF)</p></div><h3 id="abstract">abstract</h3><blockquote><p><em>I will summarize the standard understanding of the city […] as one of moment and process. ‘Process’ because urbanization has been understood as a transformation over space and time: of population, of urbanism as a way of life and its corresponding form of settlement space […]. ‘Moment’ because, in the standard understanding, cities are the still frames comprising the urbanization process: Stop the process at any point in time, and the discrete spaces you observe are the extent of urbanization.</em> (Wachsmuth, 2014)</p></blockquote><p>Proveniente da campi del sapere esterni all’architettura e alla pianificazione, il termine <em>narrazione</em> è usato per esprimere le <em>intenzioni</em> che sottendono, prefigurano, progettano dinamiche e discipline dello spazio urbano. Lo sconfinamento, spontaneo o provocato, dimentica la sua origine filosofica (fu un termine centrale nelle teorie di F. Lyotard) ma non la sua struttura più intima. Conservando sempre la nativa relazione tra comunicazione e suo medium, le narrazioni vengono esperite da differenti strumenti: da quelli della pianificazione e della regolamentazione della città, fino a operazioni collettive spontanee.</p><p>Nel fondare l’indagine nata da uno spostamento semantico, sorgono le domande principali della nostra ricerca: qual è il rapporto tra narrazioni e progetto nel destino delle città? Le narrazioni urbane preesistono alla città, ai suoi modelli e alle sue modificazioni, oppure ne conseguono?</p><p>In forma di epiteti e teorie essi ne alimentano i dibattiti, ne conducono le azioni decisionali, prefigurano la complessità in nuove forme. Intesi come strumenti che operano sulle/con le pratiche urbane, i racconti e le narrazioni rivestono più ruoli: possono essere uno strumento maieutico, incubatore degli apporti sociali e culturali che innescano fenomeni di metamorfosi della città (producendo modelli di città); possono costituire uno strumento metodologico, utile per registrare e interpretare le trasformazioni in atto. Possono essere d’altra parte e al contempo vincolo o preclusione verso orientamenti nuovi, accelerazioni di futuro o prospettive inedite.</p><p>in_bo Vol. 11, nº. 15 intende porre l’attenzione sul rapporto tra narrazioni e città, indagando il ruolo attuale di uno strumento e la sua capacità a farsi supporto delle pratiche urbane. in_bo cerca con questa call contributi interdisciplinari, che potranno essere presentati in forma testuale o illustrata. Tutti i contributi testuali selezionati saranno sottoposti a processo di <em>double blind peer review</em>.</p><h3 id="premesse">Premesse</h3><h4 id="narrazione-quale-strumenti-o-limiti-di-interpretazione-e-riscrittura-delle-città">Narrazione quale strumenti o limiti di interpretazione e riscrittura delle città?</h4><p><strong>1.</strong></p><p>Il secolo XX ha enfatizzato il ruolo ed il tema delle narrazioni urbane. Numerosi autori hanno alimentato il dibattito architettonico, sociologico, filosofico, fornendo un vasto scenario, che ha trovato nel corso degli anni Settanta la sua espressione più rappresentativa. Filosofi e pensatori quali Ludwig Wittgenstein (1967), Henri Lefebvre (1970) e Jean Francois Lyotard (1979) hanno individuato nella narrazione lo strumento chiave delle osservazioni, delle analisi e della fondazione dei fenomeni urbani.</p><p><strong>2.</strong></p><p>Più recentemente, il dibattito ha ripreso vigore nel contesto americano. Un saggio di David Wachsmuth (Wachsmuth, 2014) porta a esempio il carattere ideologico di alcune teorie fondative del disegno urbano: l’opposizione tra città e campagna, l’autonomia del sistema-città, la città come tipologia “ideale”, per includere in senso più vasto anche il capitalismo, considerato come ulteriore narrazione in grado di innescare a sua volta trasformazioni urbane.</p><p><strong>3.</strong></p><p>L’uso dello strumento-narrazione come nuovo calibro della disciplina progettuale, come aiuto all’inadeguatezza di alcuni strumenti di pianificazione, viene poi ripreso nell’editoriale della rivista olandese OASE n.98 (2017). Lo strumento-narrazione, specialmente nelle dinamiche di riqualificazione urbana, viene considerato utile nel momento in cui i progettisti si trovano a raccogliere e collezionare differenti aspetti del paesaggio urbano: dalla natura sociologica fino a quella politica ed economica.</p><p>Vi è d’altra parte il tema della inevitabilità delle narrazioni, e di una loro moltiplicazione ad assorbire anche la contraddittorietà e gli opposti nella moltiplicazione delle individualità e delle culture, tanto frammentate da coincidere con gli individui, o aggregate in nuclei e gruppi che proiettano sulle forme urbane narrazioni e miti lontani, originati altrove.</p><h3 id="temi">Temi</h3><p>Le vicende della contemporaneità e le loro ricadute sullo spazio urbano portano a interrogarsi sulle relazioni tra narrazioni e progetto. Variamente esplorate nel dibattito accademico, tali relazioni stanno conoscendo nelle città Europee momenti di confronto e di analisi puntuale, evidenziando il disallineamento gli strumenti di pianificazione e regolamentazione e le narrazioni a cui si riferiscono. Quale relazione tra narrazioni, metamorfosi e pratiche urbane?</p><h4 id="a.-narrazioni-come-strumento-di-progetto-e-pianificazione.-esempi-a-confronto">a. Narrazioni come strumento di progetto e pianificazione. Esempi a confronto</h4><p>È ancora teoricamente sostenibile e praticamente perseguibile una relazione tra narrazioni e progetto nel disegno della città contemporanea? Oppure la cessazione di piani disegnati è implicita ammissione di un definitivo divorzio tra urbanità e narrazioni rispetto al quale non si riescono però a costruire alternative e variare modelli?</p><p>Esistono esempi che sconfessano questa frattura? Le narrazioni possono ancora dialogare con le pratiche urbane? Agli estremi teorici di questa relazione vi è da un lato un progettare che è solo reiterazione della medesima narrazione, verso un risultato iconico e cristallizzante, mentre, all’altro estremo, il rifiuto di ogni narrazione, per un progetto eversivo, rivoluzionario, oppure assolutamente e davvero libero, con il rischio di frantumazione sul confini dei lotti con libertà divergenti.</p><p>Oltre a considerazioni e tesi di ordine teorico, la presente Call for Paper è altrettanto interessata a casi di studio di ordine pratico: quali esemplificazioni a questi modelli tendenziali? Quali progetti, piani o città possono essere considerati emblema o esempi delle suddette direzioni?</p><h4 id="b.-le-narrazioni-allintersezione-con-i-fenomeni-urbani-origine-o-esito">b. Le narrazioni all’intersezione con i fenomeni urbani: origine o esito?</h4><p>In che rapporto stanno le narrazioni con il dinamismo del tessuto urbano? La domanda acquisisce particolare ricchezza e complessità in relazione all’abitare contemporaneo. In che misura la realtà è il prodotto di una narrazione e in quale misura invece le narrazioni sono interpretate e/o integrate in rapporto alla realtà? È maggiore l’inerzia al cambiamento del tessuto e del fenomeno urbano o piuttosto del racconto, della narrazione o del mito che tende ad ipostatizzarlo?</p><p>Oltre a considerazioni di ordine teorico, la presente call for papers è altrettanto interessata a proposte che considerino casi di studio e sperimentazioni tecniche volte a garantire il successo di lungo periodo e l’accettazione sociale delle azioni di pianificazione, agendo tanto sul disegno dei luoghi, quanto sulla loro narrazione.</p><h3 id="cosa-inviare-come-e-quando">Cosa inviare, come e quando</h3><p>I contributi potranno rispondere a queste domande, ma anche a molte altre che la call non ha espresso esplicitamente. Cerchiamo tipologie differenti di contributo.</p><p><strong>Saggi</strong> – Gli autori sono invitati a inviare un abstract (3000-4000 battute, spazi inclusi), in lingua italiana o inglese, indicando quali domande intenda sviluppare. La redazione dell’abstract deve essere effettuata attenendosi alle linee guida della rivista.</p><p><strong>Immagini</strong> – Si può partecipare sottoponendo disegni e progetti fotografici che dovranno giustificare l’attinenza a uno dei tre temi proposti, con un breve abstract esplicativo (massimo 1000 battute, spazi inclusi). Le immagini verranno stampate su carta. Le immagini pervenute saranno sottoposte a un processo di <em>blind peer review</em> (si potrà firmare l’opera una volta accettata).</p><p>Tutti i documenti dovranno essere inviati, entro e non oltre il <strong><del>20 settembre</del> <ins>6 ottobre</ins> 2019</strong>, all’indirizzo in_bo@unibo.it. Al contributo dovrà essere allegata una breve bio dell’autore (max 350 battute, spazi inclusi) e l’affiliazione. I curatori comunicheranno in seguito l’eventuale accettazione.</p><p>In caso di accettazione dell'abstract, i saggi dovranno poi essere caricati, seguendo la procedura <em>online</em>, sulla piattaforma di in_bo dal sito <a class="uri">https://in_bo.unibo.it</a>, in lingua italiana o inglese (con abstract in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra le 20.000 e le 60.000 battute, spazi inclusi. Sia l’abstract, sia l’eventuale paper saranno sottoposti a <em>double blind peer review</em>.</p><h3 id="in_bo">in_bo</h3><p>in_bo è una rivista di ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura. Attraverso un palinsesto di temi indaga la contemporaneità in modo disciplinarmente trasversale, rifuggendo da specializzazioni che non accettano scambi (o accessi) al sapere. Predilige la domanda alla risposta, le dinamiche alle statistiche, la critica al commento.</p><dl><dt>Direttore responsabile</dt><dd>Luigi Bartolomei. Università di Bologna</dd><dt>Comitato editoriale</dt><dd>Michele F. Barale. Politecnico di Torino</dd><dd>Jacopo Benedetti. Università Roma 3</dd><dd>Andrea Conti. SLU, Uppsala</dd><dd>Francesca Cremasco. Architetto PhD</dd><dd>Marianna Gaetani. Politecnico di Torino</dd><dd>Sofia Nannini. Politecnico di Torino</dd><dd>Stefano Politi. Università di Bologna</dd><dd>Alessandro Tognon. Università di Bologna</dd><dd>Matteo Vianello. Università IUAV di Venezia</dd></dl> 2019-07-15T00:00:00+02:00 https://in-bo.unibo.it/announcement/view/293 NEXT ISSUE: Call for Papers: Glauco Gresleri (1930-2016). Parole, progetti, relazioni (in_bo Vol. 10, N. 15) 2018-06-18T00:00:00+02:00 IN_BO. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l'architettura <p><strong>A cura di: Luigi Bartolomei, Sofia Nannini, Marianna Gaetani</strong></p><p><strong>Scadenze aggiornate!</strong></p><div style="text-align: center;"><p><a href="https://drive.google.com/file/d/18g21NBymI779s68Mo6YcKKsyUAWrPZFw/view?usp=sharing" target="_blank">Scarica questa Call for Paper</a> (PDF)</p></div><h3 id="contenuti">Contenuti</h3><p>Pioniere di una modernità internazionale in una città che è sempre stata ai margini del dibattito architettonico, Glauco Gresleri (1930-2016) è stato figura chiave per la collocazione di Bologna nelle mappe dell’Architettura del secondo Dopoguerra, grazie alla fitta trama di relazioni intrecciate con colleghi bolognesi, italiani – Giorgio Trebbi, Silvano Varnier e Giovanni Michelucci tra gli altri – e con maestri internazionali quali Alvar Aalto, Le Corbusier e Kenzo Tange.</p><p>Subito affermatosi come stretto collaboratore del cardinale Lercaro, nel coordinamento dell’Ufficio Nuove Chiese della diocesi bolognese, Gresleri è presto andato oltre: se le sue architetture sacre sono divenute spazi emblematici del Concilio Vaticano II, quelle civili derivano da una matericità fuori dal tempo e da una sacralità di segni fondativi, in grado di includere altri territori storicamente marginali in quelle stesse mappe del moderno italiano, in particolare il Nord-Est.</p><p>Non solo abile architetto, Gresleri è stato anche redattore di “Chiesa e Quartiere” (1955-1968) e fondatore di “Parametro” (fondata nel 1970), oltre che autore di riflessioni sulla propria opera (<em>Costruire l’architettura</em>, 1981), aggiungendo un nuovo, importante tassello all’interno della critica architettonica italiana di più di quarant’anni.</p><p>Si reputa ora necessaria un’indagine del rapporto tra progetto e costruzione, maestranze, elementi di dettaglio, artistici e decorativi. Ma anche tra vuoto dell’architettura, gesto, corpo e significato del costruito, che è matrice generativa dell’opera di Gresleri, tanto nel civile quanto nel sacro, in cui, nello specifico, tale approccio dinamico e fenomenologico attribuisce speciale valore ai luoghi della liturgia: altare, ambone, battistero e sede.</p><p>In definitiva, questo numero di “in_bo” intende raccogliere contributi sul <strong>Gresleri progettista, autore e redattore</strong>, nel tentativo di comprenderne il profilo poliedrico e situarne l’opera tanto in riferimento al contesto nazionale quanto al dibattito internazionale, su cui egli si è affacciato sia attraverso le riviste che con la professione.</p><h3 id="informazioni">Informazioni</h3><p>La <em>call for papers</em> sarà seguita da una giornata di studi itinerante tra le opere di Gresleri nella provincia di Pordenone (Oratorio di Santa Maria di Lourdes a Spilimbergo, Municipio di Arba, Cimitero di Vajont, Cimitero di Erto e Casso), prevista per la fine di maggio 2019. Gli autori dei paper più meritevoli e pertinenti saranno invitati a presentare le proprie ricerche in questa occasione.</p><p>I testi dovranno essere caricati, seguendo la procedura <em>online</em>, sulla piattaforma di “in_bo”, dal sito <strong>in_bo.unibo.it</strong>, in lingua italiana o inglese (con <em>abstract</em> in entrambe le lingue), e con una lunghezza compresa tra le 20’000 e le 60’000 battute, spazi inclusi.</p><p>Agli autori dei paper accettati sarà richiesto un contributo per l’impaginazione del saggio, pari a €60 o €30 (dottorandi e assegnisti di ricerca).</p><dl><dt>Deadline per l’invio degli <em>abstract</em>:</dt><dd><p><strong><del>31 luglio</del> <ins>10 agosto</ins> 2018</strong></p></dd><dt>Accettazione delle proposte:</dt><dd><p><strong>13 agosto 2018</strong></p></dd><dt>Deadline per la <em>submission</em>:</dt><dd><p><strong>31 dicembre 2018</strong></p></dd><dt>Accettazione dei paper dopo processo di <em>blind-peer review</em>:</dt><dd><p><strong>18 marzo 2019</strong></p></dd><dt>Invito alla presentazione durante la giornata di studi itinerante per contributi meritevoli:</dt><dd><p><strong>25 marzo 2019</strong></p></dd><dt>Giornata di studi itinerante (aperta a tutti gli interessati, su pagamento di una quota di iscrizione. Maggiori informazioni saranno rese disponibili a breve su <a class="uri" href="http://ghirardacci.org">http://ghirardacci.org</a> e tramite newsletter).</dt><dd><p><strong>27-28 maggio 2019 (date da confermare)</strong></p></dd><dt>Pubblicazione del numero su “<em>in_bo</em>”:</dt><dd><p><strong>Entro la fine di giugno 2019</strong></p></dd></dl><h4 id="a-cura-di">A cura di</h4><p>Luigi Bartolomei (Università di Bologna)</p><p>Sofia Nannini (Politecnico di Torino)</p><p>Marianna Gaetani (Politecnico di Torino)</p><h4 id="comitato-scientifico">Comitato Scientifico</h4><p>Giuliano Gresleri</p><p>Matteo Agnoletto (Università di Bologna)</p><p>Luigi Bartolomei (Università di Bologna)</p><p>Maria Beatrice Bettazzi (Università di Bologna)</p><p>Estaban Fernández-Cobián (Universidade da Coruña)</p><p>Luigi Leoni (Fondazione Frate Sole, Pavia)</p><p>Andrea Longhi (Politecnico di Torino)</p><p>Sergio Pace (Politecnico di Torino)</p><p>Emanuele Piccardo (archphoto.it)</p><p>Giancarlo Santi (Università Cattolica di Milano)</p><p>Massimiliano Valdinoci (Accademia di Belle Arti di Verona)</p><h4 id="promotori">Promotori</h4><p>DA – Dipartimento Architettura, Università di Bologna</p><p>CHGH – Centro Studi Cherubino Ghirardacci, Bologna</p><p>Ulteriori informazioni e aggiornamenti su <strong>in_bo.unibo.it</strong> e <strong>ghirardacci.org</strong></p> 2018-06-18T00:00:00+02:00